Appunti per l'esame - Antropologia dell’educazione - dedicati all'immigrazione, in particolare ad una ricerca relativa ai nidi d'infanzia e all'uso delle famiglie immigrate di tali servizi. I nidi d'infanzia sono spesso i primi luoghi di integrazione culturale, luoghi di confronto culturale e di accoglienza e mediazione di saperi e usanze che vanno conosciuti e valorizzati.
Si presenta in particolare una ricerca svolta in un nido di Perugia in particolare sulle donne magrebine.
Nello stesso nido. Famiglie e bambini stranieri nei servizi educativi.
di Barbara Reanda
Appunti per l'esame - Antropologia dell’educazione - dedicati all'immigrazione,
in particolare ad una ricerca relativa ai nidi d'infanzia e all'uso delle famiglie
immigrate di tali servizi. I nidi d'infanzia sono spesso i primi luoghi di
integrazione culturale, luoghi di confronto culturale e di accoglienza e
mediazione di saperi e usanze che vanno conosciuti e valorizzati.
Si presenta in particolare una ricerca svolta in un nido di Perugia in particolare
sulle donne magrebine.
Università: Università degli Studi di Perugia
Facoltà: Scienze della Formazione
Corso: Pedagogia
Esame: Antropologia dell’educazione. III modulo: la
cultura come ritualita’ legata alla nascita, saperi
allevanti, pratiche di cura dell’infanzia.
Docente: P. Falteri
Titolo del libro: Nello stesso nido. Famiglie e bambini stranieri
nei servizi educativi.
Autore del libro: Favaro G., Mantovani S., Musatti T.
Editore: Franco Angeli
Anno pubblicazione: 20061. Funzione dei servizi educativi all'infanzia nei percorsi di
integrazione interculturale
I servizi educativi per l’infanzia, e il nido in particolar modo, rivestono un importanza cruciale nei percorsi
di integrazione interculturale dei bambini stranieri perché è proprio durante i primi anni di vita che si
costruisce il cammino dell’inclusione; un inclusione difficile perché deve fare i conti con il processo di
inculturazione familiare da un lato e dall’altro allo stesso tempo dividere tempi e spazi di un acculturazione
condivisa . Per i servizi si tratta di lavorare su quel periodo della vita in cui si pongono le basi del reciproco
riconoscimento e auto-riconoscimento (le cosiddette auto ed etero attribuzioni) mentre la sfida per i genitori
stranieri è quella di consegnare i propri figli a persone e luoghi che sono fuori dal “cerchio caldo” della
famiglia e di fidarsi/affidarsi a loro. Le famiglie immigrate inducono tutti, operatori in prima battuta, a
ridefinire i propri quadri concettuali e simbolici di riferimento rispetto a ciò che può essere considerabile
“normale” o “patologico” quindi desiderabile o meno per i bambini e la loro educazione. Per questo
soprattutto negli ultimi anni i servizi educativi della prima infanzia, vista l’accresciuta presenza di bambini
stranieri, hanno iniziato ad elaborare la c.d. “pedagogia della pluralità” cioè una riflessione critica e
prospettiva empirica rispetto alle pratiche educative affinché l’incontro con l’altro divenga un occasione per
riflettere sui propri modelli di cura e accudimento. Quindi, in un clima fortemente multiculturale come
quello attuale, gli educatori devono preoccuparsi di costruire una pedagogia in cui si possa riprendere tutti
insieme la riflessione sui temi dell’infanzia: l’asilo nido infatti è un servizio di sostegno alla genitorialità che
si prefigge tra gli altri l’obiettivo di far incontrare i diversi modelli educativi dei genitori, approfondire la
riflessione pedagogica sull’infanzia e rileggere criticamente le priorità educative, ruoli e responsabilità. Si
tratta evidentemente di un continuo incontro di culture e scambio di informazioni e relazioni che riguardano
i saperi allevanti i coordinatori pedagogici responsabili del buon andamento delle strutture devono accertarsi
che il nido si configuri effettivamente come un luogo multiculturale negli spazi, nei tempi ma anche
nell’arredamento e soprattutto che la relazione con le famiglie sia realmente comunicativa. Ciò significa che
i feedback che vicendevolmente vengono espressi dovrebbero essere quanto più fluidi e non contenere
fraintendimenti, malintesi. Purtroppo però il non detto invece spesso rimane sullo sfondo. Far emergere il
non detto è un obiettivo importante che diventa sicuramente più complesso nel momento in cui questa
riflessione riguarda modi di cura e accudimento lontano da ciò che conosciamo. Di fatto l’asilo sembrerebbe
un luogo in cui l’incontro tra modelli e identità potrebbe sembrare naturale, esito della condivisone della
cura, della preoccupazione, universalmente condivisa, del benessere dei bambini. Ma è molto di più. Sul
lungo periodo infatti l’incontro e la riflessione su pratiche, saperi e modi di cura diversi possono diventare
causa di incidenti comunicativi. L’equilibrio tra flessibilità e irrigidimento della propria identità è molto
delicato e il confine molto sottile: è un iterazione complessa quella che vede madri, padri, educatrici e
bambini perché non è solo un incontro tra individui ma anche tra culture e concezioni del mondo. Essa
infatti riguarda la lingua ma non solo, le abitudini alimentari magari collegate a imposizioni religiose, le
rappresentazioni di genere. C'è quindi una vera e propria urgenza di saperne di più in termini antropologici
per riflettere insieme sui temi dell’infanzia quindi anche sull’orientamento pedagogico dei nostri servizi
perché come più volte sottolineato, l’incontro con chi viene da lontano ci deve spingere a ripensare le nostre
coordinate culturali per tessere dialoghi e incontri arricchenti con l’altro. Il testo si prefigge di fornire un
quadro teorico utile agli “addetti ai lavori” : tramite interviste ad educatrici e coordinatrici pedagogiche la
ricerca presentata da questo libro si è cercato di evidenziato come sia difficile ogni giorno aprire il servizio e
Barbara Reanda Sezione Appunti
Nello stesso nido. Famiglie e bambini stranieri nei servizi le menti di chi quotidianamente ci lavora all’altro, a vari modelli di maternage e genitorialità.
Barbara Reanda Sezione Appunti
Nello stesso nido. Famiglie e bambini stranieri nei servizi 2. Trauma migratorio e comunicazione interculturale
I progetti migratori portano con sé dolore, sofferenza e nostalgia: decidere di crescere un figlio in un altro
paese dunque non è cosa scontata ma al contrario è il risultato di un processo lungo e difficoltoso in cui
spesso ci si sente anche disorientati. L’asilo nido è il primo luogo che permette ai genitori stranieri,
soprattutto alle mamme spesso emarginate perché fuori dai circuiti lavorativi, di uscire dall’isolamento
domestico e quindi realizzare l’integrazione; dall’altro lato però l’incontro mostra subito le differenze tra
modelli e comportamenti educativi. Sul piano esistenziale l’incontro e la condivisone delle preoccupazioni e
delle responsabilità per la cura e il benessere dei bambini costituisce un occasione e un terreno molto
favorevole di incontro tra mondi e rappresentazioni culturali ma finché il modello educativo è implicito e
preso a riferimento nello spazio privato della famiglia esso certo non desta preoccupazioni; il problema
sorge al momento dell’ingresso del bambino in un servizio educativo. Modi, pratiche, stili si rendono
osservabili e si prestano ad essere negoziati, discussi, approfonditi. C’è dunque la necessità pratica di far
emergere l’implicito che in presenza di genitori e bambini immigrati è ancora più importante se si vogliono
ridurre drasticamente incidenti comunicativi. Incontrarsi sui figli e sui modelli educativi però non è certo
cosa da poco. Per questo si abbisogna della c.d. “comunicazione interculturale”: con questo termine si
intende una particolare forma di incontro comunicativo tra soggetti e mondi diversi, rappresentanti di
diverse culture o della stessa cultura ma afferenti a sistemi simbolici e universi culturali diversi. Questo tipo
di comunicazione rinvia ai processi di costruzione collettiva e culturale dei significati nelle sue dimensioni
formali, informali, intenzionali e non. Si tratta in definitiva di una certa disponibilità all’apertura, al
riconoscere e mettere in gioco le cornici di riferimento esistenziali entro le quali la comunicazione ha luogo.
Vivere tra due mondi è un esperienza dolorosa che comporta anch’essa una certa dose di rivisitazione dei
propri orizzonti culturali; un esperienza il più delle volte non scelta, complicata e sofferta che spesso pone i
bambini così come i genitori a non sentirsi ne l’uno ne l’atro, diversi ed estranei ad entrambi gli universi
(Giaccardi, 2005 in Favaro, mantovani, ecc nello stesso nido) lo stesso vale per i genitori in equilibrio tra
tradizione e novità, tra radici culturali e apertura all’altro. Ma l’incontro con l’altro non è utile solo agli
operatori come momento di riflessione sui propri saperi, o solo alle famiglie immigrate perché si creano
legami, socialità e dunque inclusione ma è positivo anche per i bambini autoctoni che in tal modo vivono un
esperienza che li potrà aiutare nel tempo a sperimentare livelli maggiori di flessibilità cognitiva e a maturare
maggiore attenzione e sensibilità alla differenza. Da tempo gli sforzi, gli investimenti formativi dei servizi
per l’infanzia sono rivolti all’accoglienza e a percorsi di conoscenza delle culture altre ma esso viene
percepito ancora come fenomeno relativamente recente; lo testimonia il fatto che nelle nostre scuole e asili
la presenza di insegnati ed educatrici di altre culture è praticamente nulla. Negli spazi negli arredi, nei
materiali, nelle attività proposte si legge ancora le nostre concezioni di infanzia, le nostre idee di politiche
educative. Ciò è dovuto a numerosi fattori; sicuramente molte forme di chiusura e resistenza al cambiamento
si debbono alla storia stessa del nido: il servizio e con esso molti operatori hanno lottato per molti anni e con
molte difficoltà per vedere riconosciuta la sua essenziale funzione di sostegno alla genitorialità e di
riflessione sui saperi allevanti che si andavano costruendo in itinere. Si tratta di rimettere in discussione ciò
su cui già da tempo si è presa posizione pedagogica maturata nel tempo, costata fatica a chi l’ha costruita.
Ma a prescindere dal fatto che il cambiamento è comunque la condizione umana per eccellenza e che le
visoni di oggi sull’infanzia non sono certo quelle di una volta occorre fermarsi a riflettere sul fatto che
ripensare non significa tradire o sospendere definitivamente percorsi e approfondimenti antichi ma piuttosto
significa confrontarsi con nuove esigenze. Le diversità ci sorprendono, ci lasciano spaesati, ma questo
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Nello stesso nido. Famiglie e bambini stranieri nei servizi